Fuga di cervelli, fuga di PIL

fuga cervelliUn esercito di 7.300 studenti ha deciso di effettuare un periodo di studio di lunga durata all’estero nell’anno scolastico 2013/2014, segnando un vertiginoso incremento in tre anni, del 55%. Ce lo dice la VI edizione 2014 dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, promosso da Fondazione Intercultura e Fondazione Telecom Italia (dati elaborati da Ipsos).

Evidentemente l’Italia ha ormai ben poco da offrire ai nostri giovani, che oltre a cercare un lavoro all’estero, cercano di formarsi al meglio nelle scuole fuori dai confini nazionali, convinti che tanto il loro futuro sarà lontano dal Bel Paese.

In particolare 4.100 ragazzi hanno scelto di trascorrere l’intero anno scolastico 2013/2014 fuori dall’Italia, 1.500 il trimestre e 1.700 il semestre. Si tratta ancora di una nicchia considerando l’entità di questi numeri rispetto alla popolazione scolastica delle classi terze e quarte che solitamente sono le più coinvolte, ma il trend di crescita è piuttosto significativo, dopo decenni in cui il fenomeno ha riguardato davvero pochissimi studenti.

Le mete più ambite sono i Paesi anglofoni, soprattutto USA e Canada, seguiti dal Regno Unito e dall’Irlanda. Richieste anche l’Australia e la Nuova Zelanda. Non mancano però le sorprese, come il forte aumento registrato dall’insieme dei Paesi scandinavi, passati dal 5% delle stime 2011 all’11% di quest’anno.
Tra le altre destinazioni, si affacciano anche i Paesi dell’America latina, quelli asiatici, Cina in primis e quelli dell’Est Europa.

L’avventura attrae maggiormente le ragazze rispetto ai ragazzi: sono il 64% contro il 36%

Imprenditori italiani con le valige in mano

A guardare all’estero non sono solo gli studenti: anche gli imprenditori italiani si mostrano sempre più interessati ai mercati internazionali.
L’ICE – Istituto per il Commercio Estero – spiega nel suo Rapporto annuale 2013-2014 che la crescita del numero complessivo delle imprese italiane attive sui mercati esteri è diventata una tendenza che ha caratterizzato l’intero decennio. Nel tempo, infatti, il numero degli esportatori italiani ha continuato a crescere, portandosi nel 2013 sul livello record delle 211.756 unità, con oltre 2 mila piccole imprese italiane che nel 2013 sono diventate esportatrici per uscire dalla crisi.

Gli esportatori italiani, precisa l’ICE, sono maggiormente presenti in Germania, Francia e Svizzera mentre gli Stati Uniti si trovano al settimo posto con circa 35.600 operatori. Gli USA, però, figurano al secondo posto per valore medio delle esportazioni, subito dopo l’Algeria. Seguono Germania e Francia e, al quinto posto, la Cina.

Guardando invece alle grandi imprese, il Centro Studi di Mediobanca rileva che su un campione di oltre 2mila imprese italiane, il 9% del fatturato dei maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale è realizzato in Italia mentre il restante 91% all’estero. Il 91% di estero è suddiviso tra esportazioni (24%), ossia beni prodotti in Italia e venduti su altri mercati, e dal cosiddetto “estero su estero” (67%), ovvero costituito dai beni prodotti all’estero e venduti sui vari mercati.

Tra i tanti settori segnaliamo quello delle costruzioni, che versa in una situazione davvero drammatica. A sostenerlo il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, a margine della presentazione del rapporto 2014 sulla presenza delle imprese di costruzioni italiane nel mondo, spiegando che il mercato interno langue mentre il fatturato delle imprese di costruzioni italiane all’estero è più che triplicato in meno di dieci anni. L’estero è ormai l’unico sostegno alle imprese di costruzioni italiane, ha aggiunto Buzzetti, dichiarando che “anche le piccole e medie imprese stanno ormai con le valigette in mano”.

A livello geografico, i migliori posti dove fare business nel 2015 sono in Asia. La Banca Mondiale ha stilato una classifica in merito, indicando nella top ten Singapore, Nuova Zelanda, Hong Kong, Cina, Danimarca, Corea, Norvegia, Stati Uniti, Inghilterra, Finlandia e Australia.

Capitali in fuga dall’Italia

Se gli imprenditori italiani guardano all’estero, gli imprenditori esteri fuggono dall’Italia. L’imprenditore estero non vuole più fare affari nel nostro Paese, forse alla luce delle recenti inchieste sull’Expo e sul Mose o forse per via dell’incertezza sulla ripresa economica. In poche parole l’Italia sta soffrendo di deficit reputazionale.

Secondo il Censis, “la crisi ha colpito tutti i Paesi a economia avanzata, ma l’Italia si distingue per la perdita di attrattività verso i capitali stranieri”: il nostro Paese “ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti”.

Tradotto in numeri vuol dire che nel 2013 si è registrato un crollo degli investimenti esteri pari del 58% rispetto al 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi.

L’Italia e gli italiani hanno tutte le carte in regola per diventare un paese leader in Europa, ma molte, forse troppe cose devono ancora cambiare, a partire proprio da una mentalità ancorata ad un retaggio culturale ostico al mondo imprenditoriale e pervaso dalla burocrazia.

Informazioni su Marco Blaset 155 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

1 Commento

  1. Più le persone e le Aziende faranno propria la consapevolezza che il loro ambito operativo di riferimento è il Globo piuttosto che il loro Paese di residenza, più aumenteranno la probabilità di risolvere i loro problemi relativi al Lavoro e al Business. Benedetti i giovani che vanno all’estero perché avranno un futuro con meno problemi e benedette le aziende che esportano ovunque perché faranno la fortuna delle loro maestranze!

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