Gucci non smette di agitare i pensieri e le coscienze dei modaioli incalliti. Sotto la guida creativa di Alessandro Michele e del suo team di esperti di comunicazione e merchandising, senza dimenticare naturalmente la gestione a dir poco visionaria dell’amministratore delegato Marco Bizzarri, quel che il marchio fiorentino decide e produce diventa prima oggetto di dibattito, anche acceso, poi tendenza condivisa, infine motivo copiato su larga scala.
Basti pensare alle ciabattine da pensionato con le quali Michele irruppe sulla scena tre anni fa: furono bersaglio dello scherno generale, mentre oggi sono un nuovo classico.
La guccificazione è in corso e sotto gli occhi di tutti; non ci si può sottrarre perché diverte e porta un po’ di gioia eccentrica in un panorama purtroppo alquanto triste.
L’ultimo argomento sul quale Alessandro Michele ci invita a riflettere – con una ironia graffiante che deve non poco all’indimenticabile e insostituibile Franco Moschino – è quello dei falsi. Il problema è annoso: i marchi dalla fama planetaria, quelli al cui possesso si aspira perché status symbol, sono da sempre vittima di operazioni più o meno grandi di contraffazione.
A volte le falsificazioni sono esilaranti: per aggirare la legge, la grafica rimane intatta, ingannando l’occhio, mentre il logo viene in qualche modo storpiato e sgrammaticato. Alessandro Michele è proprio lì che trova ispirazione. Anticipa i falsari e crea una serie di pezzi griffati Guccy, con la Y finale scorretta e birichina. La perversione è grande: il falso logo venduto dal marchio vero diventa ancora più potente del logo autentico.
Oggi si assiste in effetti ad un revival potente di logomania: la griffe giustifica la spesa e allora va esibita. I conoscitori e gli evoluti lo fanno con ironia, optando per il falso d’autore. A New York, Renzo Rosso di Diesel – altro visionario – ha addirittura messo in vendita una serie limitata di capi finto-taroccati, targati Deisel, in una bancarella in Canal Street, la via dei falsi. Ironia al quadrato.
Il gioco sarà d’ora in poi distinguere i falsi veri dai falsi falsi. In ogni caso, il marchio vince, che è quello che conta. Gucci docet.
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